I giorni che stiamo vivendo con le notizie sempre più preoccupanti che giungono dal Medio Oriente provocano due sentimenti che si incrociano: lo smarrimento di fronte a tanta atroce sofferenza, di fronte alle innumerevoli vittime innocenti, alla montante ondata di antisemitismo che ha già archiviato quello che è successo il 7 ottobre, alla manipolazione costante delle verità in un’area del mondo così complessa e nella quale non esiste mai una sola causa, un solo colpevole, ma piuttosto un intrecciarsi di responsabilità tutte gravi e la cui lettura sarebbe necessaria per sperare di trovare una via di pace.

Angoscia per i confini del conflitto che si stanno pericolosamente allargando: sono tanti i paesi in gioco che vorrebbero non solo la scomparsa dello stato d’Israele ma l’eliminazione del popolo ebraico come ben raccontano le piazze di molti paesi arabi e non solo.

Il Presidente Biden ha fatto un discorso storico, quasi della stessa portata di quello che Churchill fece al Congresso americano il 26 dicembre del 1941: pur nello smarrimento e nell’angoscia sono parole le sue che indicano un pensiero nel quale mi riconosco.

Il popolo palestinese ha diritto non solo a immediati soccorsi umanitari ma ad un futuro e ad uno Stato indipendente e sicuro come fu sancito nel 1947 con la risoluzione 181 dell’Onu. Dopo quegli anni complessi e terribili, si sono susseguite guerre, massacri, anche da parte araba come in Giordania nel 1970 quando il Re per reprimere una rivolta palestinese mise in atto un gigantesco massacro. Lo Stato Palestinese non è mai nato come era stato pensato allora e oggi a Ramallah siede un leader vecchio e stanco che non può nemmeno indire elezioni dal 2006 senza la paura che il suo sfibrato potere finisca nelle mani di Hamas o di altre organizzazioni terroristiche. E dall’altra parte ci sono gli anni di Netanyahu con la dissennata politica degli insediamenti e in tempi recenti la pericolosa alleanza con l’ala religiosa estrema del paese.

Ma non è certo compito mio ricostruire la Storia perché lo devono fare persone con ben altra competenza. Il discorso del Presidente americano sottolinea la bipolarità di un mondo nel quale da un lato i diritti delle donne, degli oppositori, di ciascuno di noi sono tutelati perché le nostre imperfette costituzioni sono figlie di secoli, dall’illuminismo in poi nel quale piano piano i concetti di libertà, uguaglianza e indipendenza sono diventati i pilastri dei nostri sistemi giuridici.
Israele è un paese nel quale, da mesi ormai, si protesta contro il premier Netanyahu. Nessuno è stato arrestato per avere manifestato una voce diversa da quella del governo. In un’area del mondo nella quale non ci sono democrazie compiute ma una serie di paesi che giornalmente violano diritti delle donne, di chiunque abbia un orientamento sessuale non accettato e degli oppositori politici. Israele è un paese democratico in cui il voto ha il suo significato. Responsabile certo della tragedia palestinese, come altrettanto responsabili sono quei leader arabi che non intendono assumersi il dramma dei loro non amati fratelli palestinesi o come quei paesi, come il Qatar, che da un lato finanziano Hamas e altre organizzazioni terroristiche e promuovono una propaganda che confonde il popolo palestinese con la Jihad ma dall’altra si propongono come big players nelle economie occidentali.

Quindi nello smarrimento rimane una certezza: noi siamo portatori di valori non negoziabili.
Noi europei, se vogliamo sopravvivere.

La strada per la pace passa attraverso la Storia e non attraverso l’antisemitismo.

La strada della pace deve riconoscere i diritti del popolo palestinese ma anche dei milioni di donne arabe che sono trattate come esseri inferiori e deve riconoscere anche quelli di Israele di esistere estirpando ogni forma di abominevole antisemitismo.

La strada della pace deve vedere l’Occidente, senza ambiguità, dalla parte della tutela dei diritti di ogni essere umano.

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