L’uccisione di Rita Fossaceca, trucidata a 51 anni sabato sera nel villaggio di Mijomboni, entroterra della costa keniana vicino a Watamu, merita non solo la condanna dei banditi che l’hanno compiuta, ma anche una riflessione, oltre che un commosso e rispettoso omaggio. Di eventi tragici la cronaca di questi tempi insanguinati è purtroppo ricca. Solo due settimane fa sono state compiute le stragi di Parigi. Varie guerre insanguinano e incendiano il Medio Oriente, con la creazione di milioni di profughi e centinaia di migliaia di vittime. In Israele si assiste ad una reviviscenza della violenza cieca e del terrore contro civili, con l’inutile sacrificio di vite umane, sia israeliane sia palestinesi. Eppure, malgrado nella sciagurata scala di gravità la morte violenta di una dottoressa italiana, semplice volontaria in Africa, da qualcuno potrebbe essere ritenuta una nota a piè di pagina, per me non è così. Non solo perché il paese era lo stesso, il Kenia, ma soprattutto perché ho lì avuto la fortuna di poter prestare un mese l’anno la mia opera di volontaria per molti anni all’Ospedale di Wamba e per molti anni ho seguito i programmi sanitari di AMREF, un Ong che opera in Africa e della quale sono Presidente Onorario. Ho sentito questa morte come qualcosa di vicino.
L’Italia potrà anche avere molti difetti come nazione, però è davvero un grande popolo: migliaia sono gli italiani come Rita Fossaceca, laici o di fede religiosa, che si impegnano per gli altri nel mondo. In modo disinteressato. Stamattina desidero ringraziare Rita Fossaceca per quello che ha fatto, ed anche gli altri miei connazionali che ancora lo stanno facendo ogni giorno, spesso rischiando la loro vita per un’idea giusta e la speranza di un mondo migliore.
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