LA SOCIETÀ CIVILE E LA POLITICA
Ad ogni elezione si presenta lo stesso scenario: una caccia a esponenti della società civile ai quali è proposto di candidarsi. E ad ogni elezione ce ne saranno un certo numero eletti che vagheranno per due anni in Parlamento prima di capirne la complessità e il funzionamento e si chiederanno se non fosse stato meglio portare avanti le proprie battaglie o convinzioni fuori dalla politica.
Siamo un Paese che ha sempre avuto difficoltà ad esprimere una classe dirigente, fin dall’epoca risorgimentale e ancor più ad accettare l’idea che la politica sia un mestiere difficile, non una casualità ma una vera e propria vocazione professionale che richiede preparazione, competenza. In altri Paesi europei ci sono scuole fatte per questo scopo. Da noi no, da noi si promuovono insensate regole che valutano la capacità di un politico dal numero dei mandati parlamentari e non da come li ha svolti, si ricorre alla società civile per rendere credibile una politica che non lo è agli occhi di tantissimi cittadini, da noi si ritiene che si possa fare politica senza luoghi dove se ne insegnino almeno i principi di base. Una volta esistevano le scuole di partito, serie, rigorose, chiuse e di parte ma comunque strutturate. Oggi, senza nemmeno quelle, il termine forse abusato di “società liquida” si adatta benissimo anche al mondo politico. E i risultati sono evidenti.
Quando ho deciso di entrare in politica lasciando con grandissimo rammarico la Presidenza del Fai, l’ho fatto pensando che in un momento così difficile per il mio Paese sarebbe stato imperdonabile rifiutare. L’ho fatto perché credo fermamente alla necessità di una nuova visione che abbracci paesaggio, ambiente e territorio in un unico ambito nell’interesse dei cittadini. Parlo del contesto in cui vivono le persone, che sia una periferia da riqualificare o una costa da salvare. L’ho fatto, appunto, da esponente della società civile, portando come bagaglio tutto l’entusiasmo che questa nuova esperienza mi sembrava avesse in serbo.
Ho avuto la fortuna di poter servire tre governi come Sottosegretario al Ministero dei Beni culturali, un ruolo nel quale le mie competenze hanno potuto essere utili e, grazie anche ad un Ministro come Franceschini che è stato capace di ridare centralità ad un ministero fondamentale come è il MiBACT, ho potuto lavorare anche se con le immense difficoltà della burocrazia ai miei temi con qualche risultato non scontato: i piani paesaggistici, l’Osservatorio Nazionale sul Paesaggio, gli Stati Generali del Paesaggio sono alcuni esempi. In questi anni mi sono resa conto, però, di quanto il mio profilo tecnico sia stato assolutamente prioritario su quello politico per una ragione molto semplice: che alla politica, quella che decide come viene approvata una legge, quella che sceglie gli argomenti da portare all’attenzione dei cittadini, quella che scrive l’agenda dei partiti, le competenze che vengono dalla società civile interessano pochissimo al di là della solita retorica sulla bellezza dell’Italia.
Ridare dignità alla politica e credibilità ai partiti forse significa proprio questo: attingere seriamente dalla società civile, il che non vuol dire candidare persone che non hanno mai fatto politica e che si aggireranno smarrite e deluse in Parlamento, ma ascoltare e assorbire temi e esperienze dalla società civile che possono tradursi in azioni politiche mirate nell’interesse dei cittadini.
E non bastano i tavoli di alcune kermesse pre-elettorali!
Che la società civile non si faccia incantare dalle sirene della politica ma aiuti la politica, facendo valere il suo peso (Fai, WWF e Legambiente hanno più soci che gli iscritti ai partiti maggiori), a ritrovare la strada smarrita del consenso dei cittadini. E io sarò con loro.
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