IL DIBATTITO PARLAMENTARE SUL CONSUMO DI SUOLO
Alla fine del Settecento Voltaire scriveva giustamente “non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione”. Probabilmente, se una macchina del tempo lo trasportasse fino a noi – e Dio solo sa se ce ne sarebbe bisogno in questi tempi di irrazionalismo – aggiungerebbe anche “…e come trattate il vostro paesaggio”. Perché oggi esso è diventato il contesto nel quale la nostra civiltà materiale si qualifica e esprime la sua identità. Che coscienza di ciò stia finalmente radicandosi anche da noi è mostrato dal disegno di legge sul consumo di suolo attualmente in discussione alla Camera. Una discussione che infonde dignità al processo legislativo, sia per il merito – perché colma una lacuna che stava trasformandosi in un abisso – sia per il metodo, con una discussione alta nei contenuti e rispettosa di ogni accento e istanza. Per questo esprimo un plauso sincero alle numerose associazioni ambientaliste che vi stanno contribuendo, con le loro proposte la loro partecipazione attiva alle audizioni parlamentari. Dove non fanno mancare il loro consenso all’impianto di fondo di una legge ormai necessaria, ma senza venir meno ad un tenace e puntuale lavoro di contrappunto politico, segnalando per esempio come nella definizione del consumo di suolo (art 2) vi siano ancora troppe deroghe e, contrariamente a quella utilizzata dall’Unione Europea, essa appaia troppo limitata. Oppure stigmatizzando l’eccessiva larghezza nella tipologia di aree escluse per usi vari da questa definizione, così come la complessità che potrebbe sfociare nell’arzigogolo e nel cavillo nella procedura di definizione dei limiti di uso. Critiche che si fanno propositive, come nel caso dell’art. 5, con la proposta di una semplificazione per ottenere l’obiettivo di un’applicazione che potrebbe invece perdersi in un itinerario troppo complesso.
Un plauso che credo vada esteso anche al Governo. Non è da tutti, in tempi di crisi e di paura diffusa, avere il coraggio di fare ciò che non è in prima pagina ma ciò che lo diventerà necessariamente tra qualche tempo, magari – come nel caso del dissesto idrogeologico – quando però sarà troppo tardi. Il Governo ha sempre creduto nel sostegno ad un disegno di legge che per la prima volta provasse a tutelare una risorsa oramai scarsa, ed è degno di plauso anche per il fatto che tale sostegno non ha mai avuto la caratteristica di uno sbrigativo diktat, magari contro i territori e le autonomie locali, quanto quello di un sostegno e incoraggiamento e sinergia con il ruolo primario del legislatore. Non solo rifuggendo dalla tentazione di sostituirvisi, ma piuttosto impegnandosi nell’approntare strumenti utili. Come l’istituzione e il varo dell’Osservatorio Nazionale per la Qualità del Paesaggio. Dove competenze e passione si sono così intrecciate da permettere di sviluppare una discussione su questi temi così libera da poter essere poi riversata nel processo legislativo. Un lavoro che serve alla nostra nazione perché tutela e rafforza la nostra identità, e che dunque mi auguro venga continuato e non spezzato al Senato.