La morte di ogni persona contiene in sé un significato inesplicabile e inaccessibile. Allo stesso tempo, però, ne ha anche altri più condivisibili tra chi resta. Nel caso di morti naturali e pacificate per chi ha condiviso tratti di vita sono i ricordi. Nel caso di morti violente per incidenti o malattie, le modalità di improvviso abbandono per i suoi cari. Per i caduti per mano umana, compresi quelli per terrorismo, il tratto sociale e politico e la casualità spaventosa dell’evento.
La morte di Max Fanelli è invece, da questo punto di vista, ancora diversa. Per la battaglia coraggiosa che egli ha fatto, insieme alla sua compagna Monica, sui molti fronti nei quali si è trovato – la malattia terribile che lo ha progressivamente annullato nella sua indipendenza ed esistenza, ma forse soprattutto quello dell’ignoranza e la speculare voglia di rimuovere tutto ciò che essa significa da parte dei suoi concittadini – essa ci lascia aperto un quesito, al quale dovremo prima o poi rispondere: per quanto tempo vorremo continuare ad ignorare che le frontiere della libertà umana sono più ampie di ciò che l’attuale legislazione prevede? Max Fanelli avrebbe voluto scegliere il suo percorso di fine vita. Come ad altri prima di lui, ciò è stato negato. Non mi sembra una richiesta improponibile. Se ne discuta. Ne discuta il legislatore. Abbiamo per questo fondato un Intergruppo parlamentare. È a disposizione. O vogliamo che, quando la civiltà giuridica prenderà inevitabilmente atto di ciò che la civiltà materiale ha già compreso, questo tempo e questa legislatura vengano ricordati nei libri di storia come coloro che non avevano compreso e avevano girato la testa da un’altra parte?