Qualche giorno fa ho qui scritto un commento sull’esito dei ballottaggi per i sindaci nelle nostre città. La tesi principale, ammetto un poco malinconica e venata di pessimismo, verteva sul fatto che la crisi italiana non era solo una crisi economica e sociale. Così forse era quando iniziò, negli anni settanta dello scorso secolo. Di convulsione in convulsione, di rimando in rimando, e di tampone in tampone è diventata una grave crisi delle classi dirigenti. Oramai incapaci di esserlo.
Mi sento di riproporre in toto questa analisi oggi che ci troviamo di fronte alla scelta della maggioranza dei britannici di lasciare l’Unione Europea. Anche in questo caso, abbiamo una crisi dell’Unione Europea che nasce dall’incapacità di rinnovare un sogno e una visione condivisa, dopo averne realizzato uno non da poco, cioè quello di assicurare a popoli che si sono sbranati per secoli il passaggio dal fucile alla zappa, e dai campi di battaglia ai campi coltivati. Anche in questo caso, una crisi nata come economica e sociale è diventata una crisi di classi dirigenti, in primis quelle europee. Incapaci di dare spessore e consistenza alle richieste di crescita e sicurezza che vengono dai popoli, e che naturalmente non sono solo o tanto crescita e sicurezza, quanto fiducia nelle prospettive e nella guida, e dunque nel futuro.
Anche in questo caso, poi, abbiamo in questo vuoto la discesa in campo di un Capitano di ventura, capace solo di organizzare scorribande per il proprio piccolo esercito in attesa di essere eliminato e rimpiazzato da un altro e più forte – oppure solo successivo – Capitano di ventura. Dispiace, a me che ho vissuto in Gran Bretagna per una parte della mia vita, che sia proprio un britannico come David Cameron ad incarnare questa ribaldesca figura, estranea alla migliore cultura civica inglese (il paese della Magna Carta e del primo Parlamento) e più propria forse di quella mediterranea. Come ha detto infatti Mario Monti, Cameron ha voluto questo referendum non per gli interessi dell’Ue, né per quelli nazionali, ma solo per i propri. Come surrogato per vincere una contesa leaderistica interna che avrebbe meritato la scelta di meno rischiosi e collettivi terreni di ingaggio. Così facendo ha tradito la propria funzione, ed ha tradito anche i britannici, ai quali ha lasciato per mancanza di leadership l’ingannevole prospettiva di vagheggiare un passato e un isolamento e una autosufficienza imperiale che mai tornerà in cambio della rinuncia al presente e soprattutto ad un futuro più ampio di possibilità economiche anche se più spoglio di simboli identitari. Lasciati soli, coloro che avevano meno da perdere, i più anziani, hanno così deciso anche per coloro che questa decisione la pagheranno per tutta la loro – si spera lunga – vita. Un monito, per tutti noi. Un atto di egoismo, che dimostra tutta l’imperfezione della democrazia, per loro. Da oggi, lasciamo perdere i britannici, chi esce è fuori.
Per noi europei può essere perfino un’opportunità. A patto che da questa sonora sberla che tutti noi abbiamo preso si esca con più decisione verso un’unione politica capace di assicurare quel futuro di sviluppo e di pace che possiamo e dobbiamo avere. Altrimenti, raggiungeremo a ranghi sparsi i britannici, che già oggi si sono seduti in veranda in preda alla nostalgia di un passato dorato. Dorato, anche perché passato. Ed ognuno, a quel momento, vagheggerà il suo, di passato. Per altro non è nemmeno detto che sia così rosa come quello britannico, e dunque attenzione, futuri votanti a qualunque referendum su scelte di sistema …
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