In tempi di legge di stabilità, la fretta è il peggior nemico. Con la fretta si compiono errori, e si giustificano scorciatoie. Oppure si tentano furbizie, o si compiono toppe che sono magari peggiori del buco. Come nel caso della proposta di vendere a privati di porzioni di aree demaniali marittime. La proposta d’Alì , avanzata per “coprire”, come riportato dalla stampa, la diminuzione d’entrate dovute ad un abbassamento delle tasse locali sulla casa, si baserebbe su un passaggio di parti delle aree demaniali, quelle su cui insistono gli stabilimenti “a carattere fisso” ( ovvero con struttura in cemento o muraria), dal patrimonio indisponibile a quello disponibile, in modo da poter attuare una “sdemanializzazione” di quella porzione degli arenili e la successiva vendita a privati.
Ma sulle aree marittime, dal punto di vista della tutela paesaggistica, oltre a numerosi provvedimenti di tutela parziali, esiste un vincolo all’inedificabilità assoluta proprio nelle aree demaniali.
Infatti, spesso all’interno della fascia dei 300 m. ricade anche una porzione di suolo che i P.R.G. variamente destinano all’edificabilità (servizi privati, servizi pubblici o zone edificabili “B” sature); queste aree non sono inedificabili affatto, ma i proprietari sono obbligati ad acquisire, per i progetti edilizi che vogliono realizzare, l’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del Codice dei Beni Culturali.
Nelle aree demaniali, invece, proprio in virtù di quell’inedificabilità, gli stessi strumenti di pianificazione urbanistica (e naturalmente i Piani Paesaggistici) indicano la possibilità di realizzare solo strutture balneari a carattere amovibile, comunque sottoposti ad uno specifico strumento urbanistico chiamato PUA (piano di utilizzazione degli arenili), che regola specificamente le dimensioni di tali strutture, la distanza tra loro e, in qualche caso ( ad es. il Piano degli Arenili di Cagliari e del contiguo comune di Quartu) anche la frazione dell’anno in cui tali strutture possono rimanere allestite (ad es. 3 mesi, poi devono essere smontate), e la tipologia costruttiva.
Altro discorso riguarda le strutture a carattere fisso, a volte esistenti da molti decenni, titolari di concessioni demaniali ripetutamente rinnovate (rilasciate in passato dalla Capitaneria di Porto e adesso direttamente da un apposito Ufficio dei Comuni), di cui alcune sono comunque “regolari” (ovvero realizzate con concessione edilizia o permesso a costruire) ma molte altre del tutto o parzialmente abusive, con una casistica molto varia (alcune hanno ottenuto il condono, altre no, altre sono ancora in attesa del perfezionamento dell’iter per la concessione del permesso a costruire in sanatoria; fermo restando che, appunto, in area demaniale non è quasi mai possibile ottenere la sanatoria – perlomeno per gli abusi dal 1985 in poi, o successivi alla data dei diversi DM di vincolo ex L. 1497/39).
Il passaggio dal demanio indisponibile dello stato a quello disponibile è dunque un procedimento comunque molto complesso, esposto a ricorsi anche di livello costituzionale e quindi dall’esito incerto.
In secondo luogo, viste le problematiche che riguardano le costruzioni che insistono nelle aree demaniali e titolari di concessione di uso da parte del demanio, di cui è praticamente impossibile stabilire la regolarità secondo principi omogenei, si rischia di attuare una sorta di sanatoria generalizzata di tutto quello che, per diversi motivi, attualmente regolare non è. E poiché in Italia le regole spesso sono disattese, se si assottiglia, di fatto, la fascia demaniale e quindi inedificabile “ope legis”, si rischia un ulteriore “allargamento” verso il mare del costruito, anche e soprattutto illegittimo.
Un provvedimento del genere, insomma, andrebbe in direzione esattamente contraria a quella in cui la legislazione, sia a livello statale che regionale (la pianificazione paesaggistica) sta faticosamente cercando di avviarsi, tendendo ormai da molto tempo a diminuire la pressione del costruito sulle spiagge e favorendo anche, a volte, la riconversione delle strutture “fisse”, in cemento, con quelle amovibili leggere, solitamente in legno. Questa è la direzione da percorrere, trovando un diverso equilibrio – rispetto alla sciagurata proposta D’Alì – tra pubblico e privato che privilegi il primo pur salvaguardando gli interessi del secondo.
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