Ci stiamo pericolosamente abituando al fatto che insulti, minacce, calunnie e spiacevoli battute facciano ormai parte e siano un canale abituale del dibattito politico: strumenti del mestiere da usare quando si è in calo di visibilità, quando si vuole infiammare un comizio o quando semplicemente si intende attaccare un avversario politico o considerato tale.
Incitazioni allo stupro, minacce di morte, insulti sessisti o razzisti diventano allora la normalità. Una quotidianità deprecabile e allarmante, un polverone che finisce puntualmente con le scuse ufficiali o a mezzo social network, che chiudono ogni discorso, indipendentemente dal fatto che il diretto interessato in questione accetti le scuse o meno.
Ma le scuse non bastano più: non solo perché le scuse che Calderoli rivolge al Senato e al Ministro Kyenge dovrebbero essere rivolte a tutti gli italiani, ma anche e soprattutto perché è troppo facile e comodo scusarsi e fare finta che non sia successo nulla, quando un Vice Presidente del Senato, una delle massime cariche dello Stato, rivolge un commento razzista e assolutamente ingiustificabile a un Ministro della Repubblica.
Per casi come questo le scuse non bastano, ma soprattutto non servono: non servono al Governo, che cerca di richiamare all’ordine senza successo forze politiche sempre più distanti, non servono ai partiti, che si prestano al quotidiano gioco degli insulti e delle controaccuse, ma soprattutto non servono ai cittadini, che vedono sconfessati, da coloro che dovrebbero rappresentarli, anni di progresso e di battaglie culturali solo per raccogliere il fugace applauso di una piazza o di un pubblico televisivo.
Se vogliamo che qualcosa cambi davvero in questo Paese servono segnali forti e chiari, che possano non solo ridare credibilità e serietà al Governo e alla politica ma soprattutto che servano a riavvicinare i cittadini a delle istituzioni in cui non si riconoscono più.
Le dimissioni immediate di Roberto Calderoli, che oggi afferma “sarei stato pronto a dimettermi se la maggioranza delle forze politiche o dei capigruppo me l’avesse chiesto” non sarebbero state e non sono una necessità di estetica politica, ma un obbligo e un segnale di rispetto dei minimi livelli di decenza, a cui evidentemente non siamo più abituati.
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