AMATRICE E L’ITALIA

2 09 2016 | Opinioni e interventi

Dopo un sisma, specie se è stato catastrofico come quello che ha colpito il 24 agosto scorso Amatrice, Accumoli e altri comuni del centro Italia, molte sono le urgenze e l’immediato bisogno. E dunque è molto facile sbagliare. Mi pare però che in questa circostanza si possa dire, sommessamente e con rispetto per i molti morti, che l’Italia e gli italiani hanno saputo essere la stessa cosa. Evitando la stridente differenza tra uno Stato assente o incapace, e la grande generosità del suo popolo nei momenti di straordinaria emergenza. Pur con le dovute proporzioni, mi pare si possa infatti sottolineare come non si siano viste le scene del terremoto che colpì l’Irpinia nel novembre del 1980, quando a fronte di una commovente e pronta generosità di singoli e di organizzazioni della società civile, tra cui anche alcuni dei partiti politici meglio organizzati, lo Stato si inceppò. Tanto da far dire al Capo dello Stato Sandro Pertini in un suo discorso appena tornato dai luoghi del sisma “Sono arrivato in quei paesi subito dopo la notizia che mi è giunta a Roma della catastrofe, sono partito ieri sera. Ebbene, a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. (…) Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci”.

Ad Amatrice, Accumoli, e perfino nelle frazioni più lontane, i soccorsi sono arrivati quando dovevano arrivare. Molte vite umane sono state salvate. Perché quella è stata doverosamente la priorità dei primi giorni, almeno fino al giorno dei funerali, tenutisi giustamente lì dove si dovevano tenere. Ad Amatrice. Si può dire dunque che non tutto il tempo degli ultimi decenni è stato perso. Da questo punto di vista, l’Italia è cambiata. In meglio. Ne è testimonianza credo anche il fatto che dopo aver pensato agli esseri umani, lo Stato ha trovato la forza di occuparsi anche della loro identità. Perché quando parliamo di patrimonio storico-artistico, specialmente in luoghi come quelli colpiti da questo terremoto, parliamo dell’identità di una comunità, che deve essere salvaguardata se si vuole che viva la comunità stessa. Il salvataggio ieri delle opere del museo civico di Amatrice è il segno che in Italia si è formata una coscienza della propria identità nazionale consapevole del ruolo che vi esercitano le testimonianze storico-artistiche. Anche quando non hanno una rilevanza internazionale, esse sono infatti giustamente ritenute fondamentali per la nostra nazione perché ne costituiscono le vestigia. Come ho avuto modo di dire nel febbraio scorso, in occasione della presentazione del volume “Amatrice. Forme e immagini del territorio”, si supera così il pregiudizio di un’arte minore, perché legata ad un centro ritenuto periferico per le sue dimensioni. Come dunque è in via di superamento una concezione solo quantitativa del Pil per misurare la ricchezza di un paese, così è in via di superamento la concezione dell’importanza di un patrimonio storico-artistico basata solo sulla sua fama, avulsa dal valore che esso irraggia nel territorio circostante. Non esiste infatti un comune “periferico” se si riconosce, come è stato negli ultimi anni, che l’Italia stessa è composta dall’insieme dei suoi comuni e dai loro patrimoni storico-artistici piccoli e grandi, in un sistema a rete decentralizzato che costituisce un vero e proprio “museo diffuso”. Ora compito del MIBACT e mio impegno personale, in primis come cittadina e parlamentare e poi come membro del Governo, è quello di perseguire con cura e convinzione questa strada, recuperando e assicurando tutto il patrimonio identitario rimasto sepolto o parzialmente danneggiato sotto le rovine. Anche quel patrimonio magari solo di famiglie o di privati che però è un’altra fibra del tessuto nazionale. La ricostruzione – affidata alle competenze di Vasco Errani, a cui facciamo davvero gli auguri di “buon lavoro” – o sarà anche questo o non sarà. Non devono rimanere – è questo l’impegno che ci prendiamo – altri buchi nel tessuto identitario nazionale, oltre quelli già lasciati – e incolmabili – dalla scomparsa di persone e pezzi di cultura di questa nostra unica e centrale parte d’Italia.