Il federalismo non è tutto uguale. Può essere declinato in molti modi. Vi è stato un tempo nel quale esso veniva inteso rozzamente come istanza anticentralistica, come un esempio di “libertà da” vincoli, lacci e lacciuoli centralistici raffigurati come sola causa delle inefficienze locali e centrali, invece di “libertà di” essere più efficienti e vicini al cittadino, come pure la sussidiarietà europea invitava a fare. Un esempio di ciò fu la riforma del Titolo V, nata nel contesto di una mal congegnata e precipitosa controffensiva del centro sinistra al governo nel 2000 sui temi del federalismo propugnato dalla Lega, che sentiva il fiato sul collo e arrembante all’unità dello Stato. Inevitabilmente – e lo vediamo anche con la giusta proposta di riforma Costituzionale che spero sarà approvata dagli italiani nel prossimo Referendum e che a questo vuole porre rimedio – creando più problemi di quanti ne praticamente risolvesse.

Vi è poi un altro tipo di federalismo, spesso un’evoluzione del primo, che invece non butta il bambino con l’acqua sporca, ma cerca di lavarlo in acqua pulita e con sapone adatto, commisurando cioè la devoluzione di poteri in armonia e non in esclusione dei precedenti atti e dei livelli superiori, cercando di far fare a ciascuno il mestiere che gli riesce meglio: le regioni quello di programmare, gli enti locali più di prossimità quello di ascoltare da presso le istanze dei cittadini, e lo Stato quello di comporre un quadro armonico nel quale mettere in sinergia tutte queste diverse leve. Un esempio di questo federalismo virtuoso lo ho sperimentato oggi al Ministero, dove è stato firmato un protocollo d’intesa tra Regione e MiBACT per l’inizio del percorso condiviso di stesura del piano paesaggistico regionale. Un federalismo virtuoso, perché non evita i problemi e le spine di cui pure si è discusso. Per esempio, il fatto che il lavoro comune tra MIBACT e Regione possa finalmente permettere di superare una concezione rigidamente formale, per fare un esempio della tutela nei parchi, che si tradotta finora nella loro ideologica mummificazione e impossibilità di farvi fiorire attività locali come la cura del sottobosco oppure la predisposizione di minime infrastrutture ecocompatibili per la loro valorizzazione naturalistica, con ciò respingendo i visitatori  che avrebbero come avviene all’estero generato strumenti per proteggerli. Governare infatti è accordare al meglio risorse, visione e consapevolezza dei tempi. E lo si può fare solo se le varie istituzione e i vari livelli dello Stato invece di escludersi a vicenda si parlano fra loro. Come è stato fatto oggi al MIBACT per il bene della Campania e del suo paesaggio, tassello storicamente e naturalisticamente fondamentale per quella parte dell’identità nazionale che ha nel paesaggio una vera e propria chiave di volta.

 

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